
FINO ALLE MONTAGNE
- Drammatico
- Canada, Francia
- 2024
- 24 Maggio 2025
- Min.113
- Sophie Deraspe
- Félix-Antoine Duval, Solène Rigot, Younes Boucif, Yamine Dib, Véronique Ruggia, Bruno Raffaelli, Michel Benizri, Guilaine Londez
- Officine UBU
- micro_scope, Avenue B Productions
Proiezioni
Luglio
- ore 21:30
- ore 21:30
- ore 21:30
Trama
Fino alle Montagne è il racconto di una scelta di cambiare vita, passando dalla frenesia di una grande città ai silenzi e al ritmo della natura.
Cinque buoni motivi per vedere il film sulla vera storia di un pubblicitario diventato pastore:
1) Le storie vere hanno sempre un grande fascino, anche perché, più delle vicende inventate ci portano a identificarci con i loro protagonisti e a "sentire" come loro.
Fino alle Montagne è l'adattamento del romanzo autobiografico "D'où viens-tu, berger?". Il suo autore, Mathyas Lefebure (nella foto qui sotto), abitava in Canada e faceva il pubblicitario, e, dietro al suo viaggio nell'Alta Provenza e alla sua decisione di imparare a fare il pastore, c'era un senso di vuoto scatenato da una vita frenetica e il bisogno di sentirsi parte del cosmo. La trasformazione a cui Mathyas Lefebure è andato incontro non è però da considerarsi una fuga romantica, ma un doloroso atto di rottura con un mondo sempre più alienante e dominato dalla logica del profitto. Fino alle Montagne narra questo cambiamento senza idealizzarlo, trasmettendo allo spettatore la tensione tra il desiderio di libertà e le paure legate all'ignoto. Del resto, quando si lascia la strada vecchia per quella nuova, non si può sapere a cosa si andrà incontro. E tuttavia bisogna osare, perché, come recita "L'Antologia di Spoon River": "Dare un senso alla vita può condurre a follia, ma una vita senza senso è la tortura dell'inquietudine e del vano desiderio, una barca che anela al mare eppur lo teme".
2) Una regia essenziale e intensa che dà voce al silenzio
L'evoluzione a cui va incontro Mathyas è graduale e, solo nel momento in cui l'uomo accompagna un gregge in montagna insieme a una deliziosa ex funzionaria di nome Elise, si rende conto di cosa significhi essere un pastore. Proprio per questo Sophie Deraspe si è mossa con la giusta grazia e delicatezza, prestando attenzione ai più piccoli dettagli e cogliendo, con la sua macchina da presa, anche i silenzi e i gesti, lasciando insomma spazio alla contemplazione dei paesaggi e del ciclo della vita. La sua regia è sincera ed empatica e, senza rinunciare a una narrazione incalzante e coinvolgente, evita ogni forma di spettacolarizzazione gratuita, in accordo con una sceneggiatura scritta insieme allo stesso Mathyas Lefebure. C'è grande verità in Fino alle Montagne, e a dare ancora più autenticità al racconto è la presenza di attori non professionisti, tra cui veri pastori e contadini, spesso induriti dal trascorrere degli anni e dalle insidie di un mestiere in balia della sorte. Per un pastore, perdere anche una sola pecora significa sconfitta e umiliazione, anche se dipende da qualcosa che non si può controllare.
3) Le montagne e i paesaggi unici della Provenza
Le montagne dell'Alta Provenza non sono soltanto uno sfondo, una cornice, ma diventano un altro personaggio del film. Mathyas si confronta con questo favoloso scenario, benevolo ma allo stesso tempo aspro se non addirittura violento, perché esistono i predatori, le avversità climatiche, la durezza delle salite e il perenne rischio di epidemie tra gli animali. Mathyas raggiunge l'agognato paradiso che è meta della transumanza, ed è là che entra in simbiosi con il gregge, abbracciando con lo sguardo il panorama mozzafiato e abbandonandosi al ritmo della terra e al respiro del vento. In queste meravigliose sequenze, Sophie Deraspe riesce a far vivere allo spettatore un'esperienza sensoriale totalizzante: attraverso l'uso sapiente della luce naturale, splendide panoramiche e una sapiente resa dei suoni della natura. Con il bel tempo e con la pioggia, siamo sempre con Mathyas, Elise e le 800 pecore di cui si prendono cura insieme a un fedele cane-pastore, che si è congiunto ai due strada facendo.
4) Un potente invito a ripensare il nostro rapporto con la natura
"Un giorno scriverò il mio manuale del pastore" - dice fra sé e sé Mathyas all'inizio della sua avventura esistenziale, che potremmo certamente considerare un romanzo di formazione. Il protagonista (e attraverso di lui il film) si interroga su cosa significhi un ritorno alla natura, per rendersi conto che il suo nuovo lavoro, legato com'è alla vita e alla morte, è metafora di un'esistenza più concreta. Sophie Deraspe, inoltre, riflette sulla fine del pastoralismo e fa dire a un anziano pastore: "L'agricoltura industriale ha distrutto tutto". Fino alle Montagne sposa l'ecologismo, mettendo l'accento sulle pericolose conseguenze del riscaldamento globale, vera e propria minaccia per la terra e i suoi frutti. Infine il film denuncia la crisi di valori del mondo globalizzato, compreso il suo consumismo esasperato. Il film, in questo senso, ci ricorda che viviamo in una società "liquida".
5) I riconoscimenti della critica internazionale
Dopo essere stato presentato al Toronto International Film Festival 2024, dove ha vinto il premio per il Miglior Film Canadese, Fino alle Montagne ha avuto la sua anteprima nazionale al 73° Trento Film Festival 2025, dove è stato molto apprezzato come mirabile esempio di cinema di montagna. Che sia un'epopea, una storia di sradicamento e ricostruzione o la cronaca di una ricerca di una nuova identità, il film sa parlare al cuore degli spettatori, di qualsiasi paese essi siano, il che ci porta ancora una volta a dire che davvero i temi trattati sono universali, così come il senso di pace misto a stupore che trasmettono, a chi li sa "ascoltare", compresi i grandi spazi fra la volta celeste e la terra.
Cinema Verdi San Vincenzo