Proiezioni

Giugno

  • ore 21:30
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Trama

C'era una volta in Bhutan, film diretto da Pawo Choyning Dorji, è ambientato nel 2006, anno in cui il Regno del Bhutan ha dato inizio alla sua transizione in favore della democrazia, segnando a una vera e propria svolta storica per il Paese. Questo dramma corale segue monaci, abitanti dei villaggi e delle città e le avventure di uno sfortunato straniero in questa democrazia neonata, che non ha mai conosciuto un'elezione e deve educare il popolo al voto. Un popolo, quello del Bhutan, in cui le persone non sanno neppure la loro data di nascita e si ritrovano ora a dover essere censite.
Vengono raccontate diverse storie: dal monaco (Tandin Wangchuk), che è incaricato di procurarsi delle pistole, a Benji (Tandin Sonam), che accetta di lavorare come interprete per Ron (Harry Einhorn), un collezionista americano di armi antiche, giunto nel Paese per acquistare un fucile risalente al XIX secolo.
C’era una volta in Bhutan è il titolo italiano, che richiama il mitico C’era una volta in America (traduzione letterale di Once Upon a Time in America), ma sarebbe stato meglio restare aderenti al titolo originale, The Monk and the Gun, perché esso ci riporta al nucleo misterioso del film: perché un Lama vuole procurarsi dei fucili per il giorno della luna piena, che coincide con il giorno delle prime elezioni della storia del Bhutan?
In realtà non sono le vere elezioni, ma una simulazione, una prova di democrazia, intesa in senso occidentale, e divenuta modello egemone in tutto il mondo. La storia delle elezioni simulate, in cui si insegna in modo elementare alla popolazione a compiere delle scelte rispondenti al proprio pensiero e al proprio sentimento, anche entrando in conflitto con chi la pensa diversamente, pur venendo qui mitizzata, ha un fondamento storico. Infatti la monarchia del Bhutan ha deciso ed effettuato un passaggio dolce e indolore alla costituzionalità nel triennio 2006-2008.
Nel 2006 si ambienta appunto il film, che mostra l’azione di educazione politica intrapresa dal governo, con l’aiuto di funzionari statali inviati in tutti i villaggi nella fattispecie a Ura (ai piedi della catena himalaiana, in un pianoro quasi alpino) a spiegare, alla maniera illuministica, le modalità e i vantaggi di un sistema elettorale. Anche se In uno di essi un Lama decide di dotarsi di due fucili, ma ne basterà uno, per “mettere le cose a posto”...
Nella realtà, nel Bhutan si sono formati due partiti, uno democratico, mentre l’altro è il Bhutan Peace and Prosperity Party. Nelle elezioni simulate del film sono tre, corrispondenti ai colori di Mondrian: giallo (tradizione), rosso (progresso industriale), blu (libertà e uguaglianza). Ma, pur trattandosi di una “finta”, già con essa si innescano delle criticità: conservazione vs. modernizzazione, difesa delle tradizioni pacifiche delle comunità del Paese (di cultura buddista) vs globalizzazione e tecnologia, ma, soprattutto, contrapposizione possibile tra politica e felicità (quest’ultima evocata anche dal paesaggio: si pensi al campo fiorito della fine)
Il film è stato scelto per rappresentare il Bhutan nella categoria miglior film internazionale ai Premi Oscar 2024 ed è interessante come prodotto artistico di un’area emergente, in questo caso asiatica.
Il regista, Pawo Choyining Dorji è nato a Darjeeling, in India, essendo figlio di un diplomatico. Si è formato sia negli Stati Uniti (che nel film vengono evocati come esempio di civiltà occidentale) e in Buthan, dove ha seguito degli studi buddisti. Quindi può essere considerato un esempio di cross generation, in cui si sono incontrate la cultura della globalizzazione e quella delle radici etniche.
Questo gli consente un distacco ironico rispetto a entrambi, tanto che il racconto rispetta i canoni di una commedia, ma non gli impedisce di esternare una scelta umanitaria e pacifista (sancita anche dall’inquadratura di un arcobaleno), facendo prevalere il culto della vita, sia pure espresso da un gigantesco fallo rosso scolpito nel legno e infiocchettato, alla follia dei conflitti e delle guerre.


Cinema Verdi San Vincenzo

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