Proiezioni

Marzo

  • ore 21:00
  • ore 21:00
  • ore 17:30 e 20:30

Trama

Un uomo ormai che ha perso la mobilità e si lascia morire nel suo appartamento. Darren Aronofsky porta sullo schermo una pièce teatrale in cerca di commozione rilanciando la carriera di Brendan Fraser. Presentato al Festival di Venezia.
La mente umana funziona in maniera misteriosa, e talvolta trascina con sé il corpo. Quella di Charlie è una reclusione forzata, un’espiazione e un martirio. Si sta lasciando morire, sotto il peso di colpe e ostilità di una famiglia che ha rotto i rapporti con lui. Il tempo passa sempre più in fretta, ne manca sempre meno per riconciliarsi in particolare con la figlia adolescente che ha lasciato otto anni prima, quando un amore assoluto l’ha portato a separarsi dall’oggi al domani dalla moglie, e da lei. Adattamento di una pièce dell’autore americano Samuel D. Hunter, The Whale mette presto in chiaro i personaggi, le metafore esibite e la ricerca disperata di redenzione, cercando insistentemente di fare del suo protagonista un veicolo di luce, nutrendolo sempre di più della missione finale di fare del bene. La balena del titolo rimanda (anche) a Herman Melville e a Moby Dick, la vera passione di Charlie, la (unica) storia in comune con la figlia Ellie. Insegna letteratura online, vive recluso, e di fatto il suo lavoro si limita a chiedere e correggere dei temi in cui aprirsi con sincerità su romanzi e scrittori, ma soprattutto su sé stessi. Una specie di medico dell’anima, in missione, che rappresenta una forma di emarginazione sociale raramente raccontata come l’obesità grave. Il giudizio è spesso implacabile, le occhiate di disapprovazione, se non di raccapriccio. “Ti faccio schifo”; dice a un certo punto Charlie, di cui nella prima parte di The Whale ci vengono illustrate tutte le dinamiche quotidiane, dalla maniera con cui ordina le pizze e se le fa consegnare alla sistemazione per la notte, passando per le apparizioni della sola figura empatica che riempie la sua vita, l’unico angelo di Charlie, amica e infermiera che ne controlla il deterioramento del quadro clinico, cercando disperatamente di convincerlo a ricoverarsi. Ma lui non vuole, usa la scusa dell’impossibilità di pagare le cure, ma è chiaro che punta al sacrificio estremo. Arriva poi un giovane missionario, con l’irruzione anche della moglie, ma soprattutto della figlia con cui tenta di riconciliarsi. È questo il viaggio, l’odissea che lo vede impegnato ostinatamente, come diventa sempre più chiaro, ormai da anni. Chi salva una vita salva il mondo intero, e Charlie intende il suo martirio in maniera sempre più spirituale. L’obesità, la voracità alimentare non è una dipendenza da superare, ma da abbracciare come forma di sacrificio ultimo per salvare l’umanità.
Qui, e forse per la prima volta, Tom Hanks è misantropo quasi come Scrooge di Canto di Natale e furioso con la vita, che gli ha portato via la donna che ha dato un senso a un'esistenza altrimenti grigia e monotona. Come l'anziano Carl Fredricksen di Up, Otto ha messo al centro del suo universo emotivo una moglie adorabile e intelligente, come facevano i nostri nonni e forse i nostri padri, e adesso è solo, solo e rancoroso, e ogni mattina fa la sua ronda per il quartiere e aggredisce verbalmente tutti coloro che infrangono le regole, a cominciare da chi non fa la raccolta differenziata e non rispetta la proprietà privata. Per Otto, naturalmente, la disciplina è un rifugio, ma la sua intenzione e insieme il suo desiderio più grande è suicidarsi, in modo da raggiungere la moglie in cielo, e non solo perché senza di lei nulla ha più senso, ma anche perché il sogno americano di cui sopra è andato in frantumi, bombardato dai rumori molesti, guastato dal pressappochismo, cancellato da un politicamente corretto di facciata, vilipeso dall'omofobia e dalla maleducazione, reinterpretato alla luce di un suprematismo bianco nemmeno troppo nascosto che si esprime nella gentrificazione, in un sistema sanitario assurdo e nella stolida resistenza alle richieste di aiuto dei più bisognosi.
Non ci va troppo per il sottile nel delineare i personaggi, Darren Aronofsky, ma soprattutto nell’alimentare le loro idiosincrasie e procrastinarle senza speranza. Charlie è un super eroe della bontà, vuole lasciare il mondo migliore di come l’ha trovato, come direbbe Baden Powell. Come in The Wrestler, Aronofsky recupera un corpo malandato, un’icona del cinema ormai trascurata da Hollywood. Se all'epoca era il maledettismo di Mickey Rourke, questa volta il profilo è quello di Brendan Fraser, già beniamino da blockbuster. Il corpo è il terreno di battaglia per comunicare una rinascita. Aronofsky sa come mettere in scena parabole, un mondo che cattura, alcuni personaggi di contorno colpiscono.
Cinema Verdi San Vincenzo

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